Quando ci si trova in situazioni di abuso, la realtà virtuale smette di essere un gioco e una palestra di socializzazione per diventare un’esperienza patologica, che porta a gravi difficoltà per lo sviluppo psichico.

I ragazzi arrivano a fare un uso compulsavo di Internet, smartphone, Social Network e videogames e progressivamente smettono di investire il loro tempo e le loro energie nello studio, nelle uscite con gli amici, nello sport.

L’immersione totalizzante nelle reti virtuali conduce ad una sovraesposizione di sé ed è contemporaneamente un luogo di rifugio, diventando così un’esperienza deleteria per il normale sviluppo psicosociale.

Dall’esperienza clinica emerge la fragilità di questi ragazzi, che faticano a mantenere una continuità tra il Sé reale e l’esperienza digitale, fino ad allontanarsi dal concreto del loro presente per immergersi sempre più nella realtà virtuale. Sono ragazzi che tollerano poco l’attesa, non riescono a filtrare le informazioni con un pensiero critico e faticano a rappresentarsi le conseguenze delle loro azioni.

I genitori, “migranti digitali”, fanno molta fatica a comprendere il mondo virtuale e non si sentono attrezzati né per valutare la gravità del comportamento del figlio, né per aiutarlo. Provano con i ricatti, con le ricompense, con il controllo, ma alla fine si sentono impotenti. E’ necessario che i genitori abbiano delle chiavi di lettura per comprendere cosa sta succedendo, per non demonizzare totalmente l’uso della rete virtuale e consentire al figlio di adottare modalità di socializzazione efficaci e urli ad un sano sviluppo di sé.

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